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Fra i nomi dei celebri pianisti che sicuramente hanno lasciato un segno nella storia di questo strumento così classico da apparire “scontato”, Joaquin Achucarro ha un ruolo del tutto particolare. Nato a Bilbao, ha avuto modo nel corso della sua carriera di esibirsi nei maggiori teatri operistici del mondo, collaborando con direttori del calibro di Zubin Metha, Claudio Abbado e Seiji Ozawa. Il suo pianismo sembra prediligere repertori che attingono alla grande tradizione ottocentesca, ma il suono che esprime così ricco e fortemente strutturato ha il fascino di un elemento che può sfuggire alle categorie di tempo e spazio e ci costringe a non renderlo assimilabile ad una rigida catalogazione, tanto è prezioso un confronto con tale materia sonora, così ricercata, profonda e generosa nel suo darsi incondizionatamente a chi ascolta.
Il maestro Achucarro si è esibito in due appuntamenti per il pubblico del San Carlo eseguendo il Concerto in sol maggiore di M. Ravel diretto dal bravo Fabio Luisi. La serata di venerdi 20 gennaio è stata un vero trionfo per entrambi i musicisti che hanno sorpreso piacevolmente gli appassionati del repertorio pianistico con una partitura non facile come quella di Ravel e con l’esecuzione di un classico del sinfonismo ottocentesco come la Settima di L. V. Beethoven. Il concerto di Ravel concepito assieme ad un altro lavoro per pianoforte del maestro francese (il Concerto in re maggiore per la mano sinistra), rivela un’interessante commistione di ricerca timbrica e concezione della forma concerto, vicina più ad epoche passate che al linguaggio musicale sviluppato in Europa tra otto e novecento.
Il pianoforte pur emergendo in alcuni punti della scrittura, ha un dialogo costante con gli altri strumenti dell’orchestra e risulta soprattutto parte di quell’idea di melodia-timbro che molti compositori della generazione di Ravel andavano sviluppando in quegli anni, seppure in modo del tutto personale. I fraseggi, la gestualità percussiva dello strumento e lo stesso melodiare di ascendenza jazzistica costituiscono più una voce tra le tante dell’orchestra che l’elegante sfoggio di virtuosità solistiche. Luisi asseconda la scrittura di Ravel, così ricca dal punto di vista dell’orchestrazione e sempre molto ricercata, raffinata in ogni elemento della”tavolozza” che l’organico può offrire ed il dialogo tra l’interpretazione di Achucarro che ha una sua forte presenza e valenza sonora, e la via di sviluppo delle tensioni armoniche orchestrali risulta molto interessante per quanto sia evidente in molti punti la diversità di approccio nel riproporre la partitura.
La seconda parte del concerto ha visto l’esecuzione di un altro capolavoro orchestrale: la settima Sinfonia in la maggiore di Beethoven, opera molto nota che nondimeno ha catalizzato l’attenzione del pubblico in sala affascinato dal crescendo dell’ultimo movimento ben concertato da Fabio Luisi e da quella straordinaria pagina che risulta essere l’allegretto, il secondo movimento della sinfonia, celebre per la melodia dolente e così liricamente caratterizzata degli archi e per quell’incedere quasi funereo di tutto il pezzo, sempre in bilico tra una visione oltramondana e i drammi della vita dell’uomo. Calorosi gli applausi sia per il direttore Luisi che per Achucarro, che ha concesso due bis al pubblico lasciando il palcoscenico dopo una commovente interpretazione di Chopin tra l’entusiasmo della platea e dei professori d’orchestra.